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lunedì 29 luglio 2013

Paranormale (Story) prima parte

Questione di vita o di morte.
O meglio: questione di morte.
Il castello non era difficile da raggiungere visto che la strada era stata rifatta da poco e, nonostante le curve di tanto in tanto pericolose, con una moderata velocità si poteva arrivare alla meta senza difficoltà.
Ricordo che era inverno. Mi ritorna alla mente la leggera nebbia che aleggiava intorno al perimetro delle fiere mura, bagnate di tanto in tanto da una pioggia fredda e fitta.
Il quarto piano era il "mio".
Non era casa mia, ero solo il custode.
Il conte cui apparteneva questa dimora era morto anni prima e la famiglia ereditaria non veniva mai se non per qualche vacanza estiva.
Quel castello mi cambiò la vita e non c'è niente, ormai, che io possa fare per tornare quello di prima.
Vi racconterò cos'è successo: non posso mettere dettagli nonostante alcuni siano rilevanti.
Io non so se fu reale o tutto frutto della mia immaginazione: magari sono pazzo. Ciò che so è che persi l'uso delle gambe, persi la mia reputazione, persi la mia dignità, persi la mia voglia di vivere e persi anche il mio passato. Tutto ciò in cui credevo, in cui speravo e tutto ciò che sostenevo, rimase dentro quelle imponenti mura.
Sono passati quasi quindici anni da quell'inverno e tutt'ora il mio sonno viene disturbato da Loro.
Io non ero solo.

La pioggia incessante batteva contro le finestre coperte da tende di velluto bianco. Non era una notte nebbiosa, eppure non potevo vedere oltre il riflesso del mio volto a causa del buio pesto che vigeva in quella zona collinare.
Quando mi diedero il compito di vegliare sul castello mi sentii lusingato: ero protetto da quel capolavoro architettonico e sicuramente, nonostante la solitudine, non mi sarei annoiato visto che amavo lo stile gotico e c'era tanto, tanto da vedere.
La prima settimana passò liscia come l'olio ed ero sempre più esaltato dal mio nuovo impiego. C'era sempre qualcosa da vedere, qualche corridoio strano da percorrere e qualche statua da disegnare.
Amavo disegnare.
Imprimere in un foglio, una tela o una qualunque superficie, qualcosa di eterno. Mettevo tutto me stesso in quelle opere e devo ammettere che ero anche bravino. Le quattro dita rotte che riportai in seguito mi bloccarono e da allora non presi più una matita in mano.
Ricordo la prima volta che uno di loro si fece vivo. Erano le 22:00 e stavo ritraendo un'armatura ornata da ragnatele, in un f4. La matita, mi pare di ricordare, era una semplice HB e devo ammettere che stavo andando alla grande.
Non c'era corrente in quel posto ma non ho mai capito il motivo, forse per i costi elevati.
Ero nel corridoio B: lungo circa trenta metri, con due stanze nella parete destra e dodici armature nella parete sinistra. Il tappeto rosso copriva lo scricchiolante parquet e due lampadari spenti pendevano dal soffitto. Erano enormi.
Io nel mio piccolo me ne stavo seduto di fronte alla quarta, o forse era la quinta, armatura, armato di matita e gomma. Alla mia destra una candela, alle mie spalle altre tre.
Avevo anche una lanternina momentaneamente spenta tra le mie gambe.
Ricordo il suono della mina che scorreva sul foglio bianco, ricordo che era chiaro e forte in mezzo a quel silenzio opprimente. Poi, ricordo che iniziai a non sentirlo più.
C'era solo un flebile fischio tant'è che smisi di disegnare e infilandomi un mignolo nell'orecchio destro, cercai di ripristinare il mio udito in tilt. Ero momentaneamente sordo, senza un motivo preciso.
Mi alzai allarmato e fu la che lo vidi: era in fondo al corridoio, ed era estraneo.
Le candele giocavano con le armature dando vita a danzanti ombre sparse qua e la. Ma quell'ombra non era normale e prima non c'era. Nella parete terminante, vi era la distinta sagoma di un piccolo essere: forse un bambino... Forse. Era fermo, braccia lungo i fianchi, ed era spettinato.
Mi girai di scatto per vedere se fossi in compagnia ma non vidi nessuno. Le orecchie pulsavano, la testa iniziò a far male. "Chi c'è la?", ricordo che lo dissi ma non udìì la mia voce dunque non so bene se gridai, sussurrai o se immaginai solo di averlo chiesto.
Quando tornai a guardare la parete, l'ombra non c'era più e con la sua scomparsa, tornò il mio udito.
Tremavo visibilmente, questo lo ricordo bene. Presi il foglio di carta e una candela e a passo svelto me ne tornai in camera. Mi buttai sul letto ed accesi la grossa lampada che mi era stata dai proprietari del posto.
Mi ci volle un pò per calmarmi, ricordo il cuore che tentava di sfondare il petto e il mal di testa incessante.
Mi addormentai.
Non ricevevo visite e non parlavo con nessuno da oltre sette giorni, dunque era normale avere "visioni": fu così che giustificai ciò che avevo visto... Anche se non mi spiegavo la perdita dell'udito.
Convinto di aver vissuto un sogno troppo reale, mi alzai dodici ore dopo colpito dalla mattiniera luce solare in quella finestra ormai asciutta.
Strofinatomi gli occhi posi lo sguardo sull'f4 e fu la che realizzai quanto era successo.
L'armatura non era come l'avevo disegnata, o meglio, era lei, ma non come me la ricordavo.
Il disegno era identico al mio, ma nello sfondo, quel muro, presentava ancora quell'ombra di bambino...
Tornai a tremare forse più forte della sera prima e lasciai cadere il pezzo di carta in terra.
Nessun fenomeno si ripeté più per altri tre giorni, ma poi ri-accadde qualcosa: forse erano le 8:00 o 8:10, non so dirvi di preciso ormai... Stavo facendo colazione al secondo piano quando dalla porta nella parete di fronte a me, udii una risata con tanto di eco. Era lontana e sembrava avvicinarsi...
Rimasi immobile a fissare quell'ingresso chiuso, non riuscivo nemmeno a masticare la fetta di pane che avevo in bocca. Quella voce si avvicinava e continuava a ridere, ridere e ridere. Ormai era arrivata a destinazione quando si fermò. Ricordo che sentii freddo, la pelle d'oca fu repentina e fui sicuro che dietro quella porta, qualcuno esitava ad entrare. Ne ero maledettamente certo!
La voce ridente pronunciò il mio nome, per poi sparire portandosi con se il freddo pungente.
Vomitai.
Il terrore e l'adrenalina si impossessarono del mio corpo, le gambe a stento tennero il mio peso tanto che per reggermi, dovetti poggiare le braccia sul tavolo sporco di cibo mezzo digerito.

FINE PRIMA PARTE.

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