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martedì 30 luglio 2013

Paranormale (Story) terza parte

Non so dirvi perché ce l'avevano tanto con me.
Forse avevo violato la loro dimora, forse si annoiavano, forse ero sotto certi aspetti impuro per i loro famelici gusti.
Era arrabbiato e io ero in pericolo, solo che ancora non lo sapevo...
Quella notte la passai nella mia camera, non vi dico che dormii bene perché non chiusi occhio.
Le immagini più disparate si facevano largo nella mia fervida immaginazione: film visti da adolescente, storie lette o raccontatemi da amici ormai dimenticati, fantasie fatte nelle notti più agitate.
Non sapevo come uscirne... Non conoscevo la zona quindi uscirsene da soli dal castello era poco consigliato, il cellulare era scarico da quattro giorni e come ho detto non vi era corrente e non c'erano telefoni fissi per lo stesso motivo.
In pratica ero bloccato in un castello disabitato, in compagnia di chissà quanti demoni o fantasmi che si divertivano ad usarmi come preda per chissà quale sporco gioco.
Mi pare di ricordare che verso le quattro del mattino, una volta messo a sedere sul materasso, presi a studiarmi la mano violacea.
Non ricordavo benissimo cos'era successo dentro quella cantina ma ciò di cui ero sicuro, era che di certo non avevo fatto movimenti così letali per la mia povera mano, né ricevuto botte di questo calibro...
Mi sciolsi l'ingessatura improvvisata accompagnando i movimenti con una visibile smorfia di dolore; presi a studiarmi la gonfia e colorita pelle che ricopriva quelle povere e ormai morte nocche.
Non riuscivo a muoverla manco un pò ed era frustrante visto che nella situazione in cui mi trovavo, avevo bisogno di tutto l'appoggio possibile dal mio corpo non allenato.
Osservai il palmo, poi dorso, poi ancora palmo. Non vi era spiegazione... Avevo quattro dita rotte e non me ne capacitavo.
Poggiando delicatamente il polso sul materasso, mi distesi cercando di rilasciare tutta la stanchezza accumulata nei giorni precedenti: quello che volevo era solo dormire e svegliarmi con la mano a posto, il solito sole allegro e un sorriso a trentadue denti. Consapevole del fatto che era stato tutto un brutto sogno, ovviamente.
Erano forse passati trenta minuti quando lui mi svegliò.
La coperta che nascondeva il mio corpo fino al collo venne strappata via e lanciata in fondo alla stanza, la finestra si appannò completamente e tutte le ante degli armadi, porta della stanza compresa, si aprirono di botto provocando un frastuono allucinante.
Una folata di vento mi colpì in pieno volto e con essa, la voce più tetra e grave che avessi mai udito.
"Non puoi, non qui!". Ricordo che mi gridò questo, ricordo che me lo gridò a un centimetro dalla faccia e ricordo che non vidi niente ma la sensazione di avere un volto davanti, era più forte di qualunque altra cosa.
Io ricordo solo che il dolore della mano sparì, coperto dal più totale terrore.
Sbattei la schiena contro lo schienale del letto, quasi a volermi allontanare da quella mostruosa entità.
Le ante e la porta si chiusero seguite dallo stesso botto di quando si erano aperte, i vetri tornarono lucidi di colpo e la coperta mi venne lanciata nel volto.
Io non so cosa avvenne quella notte, so solo che non riuscirei manco volendo a descrivere il terrore che provai... L'impotenza era completa e non vi era speranza. Non ne avevo più.
Forse svenni, non lo ricordo bene.
Non so nemmeno quanto tempo dopo mi svegliai.
Forse era passato un intero giorno, forse due, forse solo qualche ora: era però giorno ed era caldo.
Aprii gli occhi e la prima cosa che notai, fu l'orologio fermo alle 4:42 del mattino. Anche quello che tenevo al polso era bloccato in quell'orario insolito... Che fosse stata quella l'ora in cui ero stato "minacciato" ?
Mi guardai intorno intontito, la mano era più gonfia e viola di prima e rimettere a posto l'ingessatura fu veramente dura.
Non so perché ma lo sguardo mi cadde sul foglio da disegno che mi aveva spaventato giorni prima... Io ero sicuro che oltre all'armatura vi fosse l'ombra di un bambino nel muro. Ne ero certo! Eppure non ve n'era traccia... Ora somigliava in tutto e per tutto al mio disegno effettivo.
Quando la speranza ti lascia, perdi la voglia di fare tutto; non sei veramente vivo ma non sei manco veramente morto. Sei solo in piedi, lì, intento in qualunque cosa tu stia facendo, senza però sapere il vero motivo per cui lo fai. Mangi, ma potresti non farlo. Dormi, ma potresti non farlo. Vivi, ma potresti non farlo.
Non c'è scopo.
Non c'è rimedio.
Non c'è niente.
Imboccai il corridoio come un sonnambulo e, camminando scalzo, raggiunsi le scale.
Scesi al terzo piano: era proibito.
Secondo il calendario dovevo rimanere in quel castello ancora tre settimane, quattro gironi e qualche ora, secondo la mia testa non avrei retto altre dodici ore.
Era buio, ma non avevo a che fare con una tenebra impenetrabile bensì con un flebile gioco di luci provenienti dall'esterno, e ombre viventi all'interno.
Ai piedi dell'ultimo scalino partiva il fresco tappeto rosso, che copriva il solito parquet dell'ennesimo interminabile corridoio.
Ero nella zona sconsigliatami dal datore di lavoro, ciò che non riuscivo a capire era il motivo e dunque, date le mie voglie morte di vivere, tanto valeva andarsene con una soddisfazione. Una sola.
Cominciai a percorrere il corridoio verso la porta che si intravedeva nel fondo.
Era un minuto ingresso, ma ciò che mi insegnò, è che non si deve mai seguire la curiosità: è indice di male, peccato di gola, è sbagliato.
Io sbagliai. Aprii quella porta, e facendolo, mi condannai.
Era finita.

FINE TERZA PARTE.

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